[QUESTO E’ UN POST “RIMASTERIZZATO” DAL MIO VECCHIO BLOG (info) – Un’esperienza del passato, una scoperta interessante. Gustatevi un nuovo tassello di questo “restauro” letterario de L’Albero delle Nuvole…]
A volte ci sono, sapete com’è, quelle giornate “no” in cui tutto sembra succedere nel momento e nel posto sbagliato: gli oggetti più quotidiani paiono rifiutarsi di funzionare per puro dispetto, le persone più care si rivelano semplicemente insopportabili, i contrattempi più sciocchi assumono l’aspetto di punizioni divine.
A me capita quando, di tanto in tanto, faccio mente locale sul calendario e mi accorgo di quanti impegni e responsabilità si stanno accumulando. Mi vedo davanti una folla di amici, parenti, professori, compagni, conoscenti e sconosciuti, cui un giorno ho detto “Sì, ci penso io” e che tutti insieme mi aspettano al varco, come creditori impazienti, pronti a batter cassa sui frutti delle mie promesse.
Non è davvero così, lo sento, ma quest’immagine basta a generare una terribile spirale d’angoscia e di incertezza. L’angoscia di non avere le energie per portare avanti nulla, mentre il tempo accelera follemente e mi corre incontro con la prossima incombenza.
In quei momenti, vorrei avere qualcuno accanto cui confidare i miei problemi e le preoccupazioni, cui affidare la mia stanchezza, ma nessuno sembra adeguato.
Così, mi trovo invischiato in una solitudine insostenibile, costretto dalla mia stessa convinzione che nessuno possa comprendermi: le forze svaniscono e l’unico desiderio è di trovare il pulsante di reset per ricominciare tutto da capo, con calma, una cosa alla volta…
Poi, un giorno che mi sentivo così, mi venne in mente di chiamare un’amica che non vedevo da tanto, ma che sapevo trovarsi in una condizione simile alla mia: chissà com’era il suo stato d’animo?
Le telefonai subito, ma non mi andava di parlare di me e così le chiesi di raccontarmi un po’ di lei: man mano che la ascoltavo, i miei problemi sembravano sempre più piccoli e lontani, quasi risibili se messi a confronto con le difficoltà e persino con le gioie della mia amica… Non pensavo più a me stesso, anzi, mi rendevo conto di essere io a poter dare un consiglio, una parola di sostegno.
Dopo quella telefonata mi sentii come rinato, l’angoscia svanita, le energie ritrovate; ma, soprattutto, una incredibile felicità per aver superato d’un balzo quel momento di prova!
Da allora ho scoperto che, quando sono triste e solo, l’unico modo per uscirne è mettermi ad amare chi è più triste e solo di me… Perché quando mi sembra di aver dato tutto – o addirittura troppo – e mi pare di restare svuotato e senza più risorse, allora ho ancora qualcosa da dare: la mia stessa tristezza, la mia stessa solitudine. La perdo di fronte a chi soffre come o più di me: ed ecco che sono subito più leggero, vedo le cose sotto una luce nuova, riesco persino ad essere io di aiuto per l’altro!
I problemi non spariscono, certo. Gli oggetti non riprendono a funzionare perfettamente, le persone insopportabili non diventano di colpo più gradevoli, i contrattempi non svaniscono come per magia, ma con un gioia così grande nel cuore il resto sembrano briciole! Io stesso, allora, posso trasformare in positivo la realtà che mi circonda e, magari, ridare il sorriso a qualcuno…
Perché io credo che la Generosità sia un dono, ma non un merito. L’Amore, invece, costa fatica, e tutto ciò che spendiamo per esso frutta sempre cose nuove ed abbondanti.
Vorrei aver scritto io questo pezzo, parola per parola, per quanto esprime bene quello che ho vissuto tante volte e che vivo molto spesso, anche in questo periodo. Spesso mi dimentico di quanto faccia bene e sia risolutivo mettersi per un attimo da parte e “buttarsi” verso l’altro, anche partendo da una semplice e immediata telefonata…